I pazienti che hanno subito un danno centrale possono avere, secondo la sede della lesione, vari deficit e varie difficoltà. Il progetto riabilitativo deve avere una visione a breve e medio termine e deve includere vari aspetti: età, contesto famigliare, lavoro, hobby ecc. ecc.
Prima di tutto verificare quali capacità sono ancora presenti e la modalità con la quale vengono svolte.
Osservare se queste attività/capacità condizionano il quadro generale e in che modo:
- Si accentuano schemi patologici / vengono usati/sfruttati e per quale attività
- Cambio del tono sia posturale che muscolare e in quali distretti
- Capacità di reclutamento e forza muscolare
- Un’ eventuale iperattività dei distretti “sani”
- Gioia o frustrazione dopo aver eseguito l’azione funzionale (feedback positivo o negativo)
- Se un’ eventuale ripetizione migliora o peggiora la condizione psicomotoria
- Capire quali attività/funzioni svolge il paziente in modo autonomo o con poco aiuto
Queste osservazioni fanno si che il terapista possa valutare se intervenire a cambiare le strategie, dissuadere il paziente e far aspettare il tempo necessario in modo tale che le strategie possano essere migliorate.
Solo in un secondo tempo vengono valutati dal fisioterapista:
- Tono posturale e muscolare
- Articolarità
- Tessuti
- Capacità cognitive e comportamentali
- Capacità funzionali
- Contesto sociale e famigliare
Troppo spesso l’operatore prende per assodato quello che dice la diagnosi, quello che raccontano i famigliari o quello che racconta il paziente stesso.
Come troppo spesso la terapia inizia con tecniche e manovre che non sono proprio inerenti al progetto, ossia a quello che deve cambiare rapidamente per migliorare – aumentare movimenti e capacità.
Come spesso vengono inibiti e corretti movimenti in modo immediato senza lasciare al paziente un attimo di attività per poter fare delle esperienze, valutando così se una eventuale ripetizione con una guida appropriata, la qualità, la velocità, la direzionalità ecc. possono migliorare.
Si – penso che il paziente debba poter provare a fare, ossia fare delle esperienze, come il terapista deve poter osservare le particolarità e le strategie per intervenire nel momento e nel posto giusto, cercando condizioni e posture favorevoli, abbinato anche ad “effetti sorpresa” (gli “effetti sorpresa” coinvolgono generalmente molte aree del cervello).
Anche le persone senza alcuna disabilità hanno bisogno di fare esperienza per apprendere e la stessa cosa vale anche per il nostro paziente, aumentando così anche la sua motivazione, mirando ad una qualità di vita migliore.
Importante! Il paziente è parte integrante ed attiva nel progetto terapeutico e così dovrà fare i “ suoi compiti “ anche a casa, con indicazioni precise, registrate o disegnate, che dovranno essere ri- controllate dal terapista. Si – Dio aiuta chi si aiuta.